Divina

Indice

Valentino, l'assenza;
la Borelli, l'eccesso;
Marlene, l'ironia

Intrecci visti e immaginati durante l'ultima edizione di <Il cinema ritrovato>

Valentino. E' l'essenza di un'ombra. O, forse, non è mai esistito. Per questo, può darsi, fu amato da folle di donne, che adoravano in lui l'inesistenza del maschio. La mostra <Divo. La vita e il sogno di Rodolfo Valentino> intuisce la cosa. Però rimpiange una scomparsa. Valentino ci manca, dal suo funerale. Un grande letto è vuoto. Ma come può mancarci una così vistosa, intrinseca assenza?

Al primo film visto la sua sembra sobrietà. Al secondo nasce il sospetto. Al terzo lo sappiamo: non c'è.

Dire Valentino attore mediocre non basta. E' assai di più. Egli garantisce una presenza all'inesistenza.

La Borelli. Lyda Borelli è il contrario di Rodolfo Valentino. E' un'eccedenza. Un prontuario delle pose sceniche capace di creare un'epopea kitsch del Floreale.

Tutti gli stereotipi (le carole, i fiori, il bosco, il demoniaco) trovano nei suoi gesti una clamorosa manifestazione, oggi esilarante. Oggi. Ma ieri no. E' la famosa difficoltà di Marx alla rovescia. Come mai, nonostante la società così profondamente mutata da allora, la tragedia greca ancora ci commuove? E qui, in Rapsodia satanica: come mai una così stupefacente enfasi involontariamente comica trovò un consenso internazionale, contribuendo, tra l'altro, a fondare il divismo di Hollywood?

Bisogna dire che il modello non fu soltanto un sogno. Pare che nella realtà del tempo esistessero personaggi simili a questo della Borelli. La contessa Tarnovska per esempio. Visconti ne voleva fare un film. ma c'è da chiedersi: la contessa si muoveva come la Borelli oppure no? Forse si muoveva come la Borelli, un poco meno.

Rispetto ad altri suoi film la Borelli in Rapsodia satanica calca la mano perchè deve mostrare che è posseduta dal Demonio. Nel film di Murnau Faust non ha questa necessità perchè il Demonio lo accompagna come un suggeritore. La Borelli, invece, il Demonio lo contiene tutto. E lo esprime come un perfetto <mattatore all'italiana> del quale vuole essere degna, in una gara tentata tra il teatro considerato <grande> degli istrioni nostani e il nuovo mezzo, il cinema, chiamato a pareggiarlo.

In Cenere la Duse aveva compreso bene che il cinema, col primo piano e la dilatazione dello schermo, imponeva gesti più misurati. La Borelli non lo sa e, teatralmente nel cinema, impone gesti di una recitazione a distanza che diventano smisurati.

La Borelli è, in tal modo, una femme fatale dell'eccedenza, contrapposta quasi sempre ad una figura immaginata invece, si potrebbe dire, dall'arte del togliere: <l'angelo del focolare>, la smortina giudiziosa, capace, nel caso ci sia l'autore, di raggiungere le vette tragiche di Madam Butterfly. Ma i veri angeli del focolare dell'epoca, le nostre nonne, forse sognavano di essere altrettante Borelli.

La Borelli in ogni caso non è il sogno di donna che ama uomini come Valentino. E' troppo scoperto il suo proposito di fulminante dominazione. E non sa ancora che Valentino non esiste.

Marlene. Poi venne la Dietrich con l'ironia. Marlene già prima di Lola-Lola. Sternberg creerà qualche felice contesto, non il personaggio, che si era già creato da sè. Marlene-Lola-Lola straccerà crudelmente gli uomini proprio come la Borelli, appartenendo alla stessa razza d'origine.

Eppure c'è un abisso tra le due. Il solco è segnato dall'ironia. Marlene sa e sorride. E' sonnolenta come un gatto. Domina il maschio guardandolo dal sotto in su con gli occhi liquidi. Prevede le sue mosse, il repertorio del suo corteggiamento. Sorride perchè sa. Eppure le piace il gioco, a dismisura.

La Borelli al confronto è opaca, pesante. Crede, soffrendo, nella propria disperata capacità di seduzione, mostrandone la fatica. Vuole essere sublime. Marlene sublime lo è perchè, sorridendo dell'altro, sorride anche di se stessa.

In ogni caso Marlene sa bene, al contrario della Borelli, che Valentino non esiste.

La Borelli nasce in un'Italia che diventerà fascista. Marlene nasce in una mitteleuropa che resterà antinazista.

La Borelli. In Rapsodia satanica si può vedere il modo di rappresentare l'orgia, l'orgiastico. E un'espressione dell'immaturità infantile. Per rappresentarla fanno il girotondo e vanno in altalena. Un asilo. Ma loro debbono caricarlo di significati <supremi>. E perciò si sentono parte di un mondo <superiore> che trasforma una realtà mediocre, modesta, dalla quale cercano di evadere mediante il mito. Un mito casereccio, brandelli floreali che d'Annunzio aiutò a coltivare a ben altri livelli, nella loro tentata dilatazione. Una velleità, una pretesa di essere ciò che non si era, senza alcuna ragione detta che giustificasse una simile pretesa.

Eppure sono rimaste tracce persino belle. Come quando, dopo altri quadri, la Borelli, verso il finale, si avvolge di veli bianchi: e già ci vedi, scomposta per successive immagini fisse, una sequenza fotografica che potrebbe bene figurare anche al Moma di New York. Così la bellezza appare improvvisa, inattesa, e basta vederla.

Valentino. Proseguo un pensiero di cui sopra. Due parole sull'aggressività di Valentino che pure è presente ma che sostanzialmente non esiste se non per l'abito che porta. Egli si propone tranquillamente nelle varie fogge, come un diligente indossatore di abiti eroici: da torero, sceicco, danzatore di tango, ecc. Così, Valentino fa della propria intrinseca inesistenza la sua forza. (Che fosse un grande?). L'inesistenza diventa un carattere che lo rende riconoscibile come una pura forma, variamente addobbabile. Siamo alle soglie del mistero. Il pubblico femminile vi assiste come ad una sfilata di moda che ha trovato un modello inimitabile, avvenente quanto basta a proporre i costumi di una magnifica collezione aggressiva, dotati, ciascuno di essi, di una propria singolare vicenda. Quale mai altra sartoria ebbe idee così folgoranti?

Così, le donne lo amarono molto anche perchè, confusamente, avvertirono che, al momento giusto, l'avrebbero dominato a piacimento, spogliato che fosse stato dei suoi minacciosi costumi.

E perciò non s'è mai visto un uomo-oggetto più efficace e riproducibile di lui. Egli fu la Barbie-maschio del suo tempo. Un tempo, si noti, dove scorrazzavano per gli schermi del mondo donne-tigre, donne-pantera, e insomma le divine del cinema italiano, ma anche nordico e tedesco.

Potete infatti immaginare Valentino alle prese con la protagonista di Genuine di Robert Wiene, avvinghiata agli alberi come un serpente del puro espressionismo, prima della sua redenzione? Che abito avrebbe dovuto indossare, Valentino, per vincere una così difficoltosa partita?

E comunque, in conclusione, proponiamoci un'altra combinazione. Valentino: la Borelli lo divora: Marlene lo gioca.

La Borelli. Partiamo dalla bocca, dalle sue labbra.

Le divine americane - Zasu Pitts, Mary Pickford, Lilian Gish, persino la prima Gloria Swanson - possedevano bocche piccine, in visi piccini. Gigli infranti esse lasciavano immaginare baci piccini a fior di labbra, come sottane coperte fino alla caviglia. Era un'America che esaltava la figura domestica al contrario di un'Italia che s'identificava in un'immagine di donna divoratrice, sebbene infine perdente ad opera di una piccola casalinga.

La bocca della Borelli è ben tagliata, vorace. Quando E.F.Palmieri comincierà a parlare, per queste divine del muto italiano, di baci a ventosa, a tortiglione, forse pensava ai gesti ampi e sinuosi del torso e delle braccia. Gesti che avrebbero precorso uno spostamento e una concentrazione. Infatti le bocche italiche di oggi, di Francesca Dellera, Alba Parietti, Valeria Marini son vagine trasferite, che annullano infine ogni altra parte del corpo, pure esibita, e tuttavia evitando i lacci del buoncostume, riservato invece al porno ginecologico, ultima Thule del realismo pedagogico, ormai ignaro della storia e della politica.

La bocca della Borelli è tesa, nevrotica, fredda. Queste divine, infatti, come monumenti alla donna frigida, con la loro belluina attitudine, pretendevano che fosse il maschio, mediante il suicidio per amore, a pagare il fio della loro cattiva disposizione al piacere.

Trio. Il gioco simbolico che si sviluppa attraverso questi atteggiamenti -oggi ridicoli come la recitazione del Duce, che pure affascinava le folle - non può essere sottovalutato e, anzi, va interpretato perchè attiene ad un passato che ancora ci riguarda.

Per un esempio: il mattatore all'italiana, già ricordato a proposito della Borelli. Fermiamoci sopra un particolare, che sullo schermo non si poteva sentire: il birignao dell'erre. Persino un nostro grande poeta del Novecento ce lo ha tramandato. Avete mai sentito, infatti, Ungaretti recitare i propri versi? Pareva di essere sopra una pista a rotelle: rrrosso, rrrossore, rrruvido, rrroco.

E Gassman e l'Albertazzi, insopportabile, quando scende nell'Inferno, così cupo e satanico com'è? Tanto diversi dalla Borelli? Lyda Borelli è la loro nonna mai dimenticata.

Per finire: Rodolfo Valentino morì presto, com'era ovvio. Lyda Borelli fu giustamente imprigionata dal conte Cini sulla cima del colle di Montagnana. Marlene Dietrich, invece, dopo essersi autoprodotta, si capisce bene come, ancora a ottantanni, reggesse, sola, spettacoli teatrali di due ore, fasciata di lamé.

Renzo Renzi