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Candia: i rettori veneziani di fronte ai poteri locali
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Il problema strutturale della carenza di denaro per portare a compimento opere che diventano con il passare del tempo sempre più complesse e costose, emerge in modo corale dalle relazioni che i governanti veneziani inviati a Candia -- così come negli altri luoghi del dominio da terra  e da mar  -- leggevano al Senato  al termine del loro mandato. Tali "Relazioni"  destinate a diventare stereotipe e strumento di autogratificazione personale da parte di chi le leggeva nel corso del XVII e XVIII secolo, in questo periodo iniziale mantengono toni di particolare vivezza e costituiscono una fonte di primaria importanza per la conoscenza dei territori soggetti a Venezia e per l'ideologia e la pratica di chi era inviato a governarli. Nel 1578 Paolo Contarini, ritornato provveditore  di Candia, giustificava il fatto di non aver potuto terminare la ristrutturazione del forte di S. Dimitri se il denaro non fosse ad un certo punto venuto a mancare. Un suo successore a quella carica, Natale Dandolo, lamentava nel 1580 che la Camera fiscale  della città risultava "estenuata" a causa delle spese per le milizie, tanto che non restava nulla per il mantenimento delle opere di difesa. La denuncia di questi governanti si rivolgeva dunque alle Camere fiscali, istituzioni di raccolta del denaro che veniva drenato con le imposte dirette e indirette. Giovanni Sagredo, tornato duca di Candia, affermava nel 1604 che piuttosto che non terminare le fortezze sarebbe stato meglio neppure iniziarle. Un ulteriore aggravio del debito era da attribuirsi al fatto che, pur stagnando le opere, si doveva continuare a pagare i tecnici addetti alla difesa (proti , soprastanti, ingegneri) come osservava nella sua relazione il duca Paolo Contarini.

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